Santo Stefano di Sessanio

Santo Stefano di Sessanio

Santo Stefano di Sessanio è un comune italiano di 114 abitanti della provincia dell’Aquila in Abruzzo. È tra i comuni meno popolati della provincia e della Regione e faceva parte della Comunità montana Campo Imperatore-Piana di Navelli. Compreso all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, ne costituisce una delle porte di accesso nella sua parte meridionale. Il borgo è situato nell’entroterra abruzzese nella parte meridionale del massiccio del Gran Sasso d’Italia, al di sotto della vasta piana di Campo Imperatore, in posizione panoramica verso la valle del Tirino da una parte e la bassa Conca aquilana (Piana di Navelli) dall’altra, ad una altitudine di 1.250 m s.l.m.

Il territorio del comune si allunga a nord lungo la piana di Campo Imperatore fino a raggiungere il gruppo del Monte Prena, la massima elevazione del territorio comunale. A nord, poco sotto il paese, si apre una piccola piana sovrastata da monti e adibita alla coltivazione di patate e legumi, tra cui la famosa lenticchia di Santo Stefano di Sessanio, che ospita di un piccolo lago con canneto alimentato dallo scioglimento delle nevi. Transita qui un tratto della grande Ippovia del Gran Sasso.

Il toponimo Santo Stefano ha assunto la specificazione “di Sessanio” con un Regio Decreto del 1863. La tesi più accreditata è che essa derivi da una corruzione di Sextantio, antico pago romano che qui sorgeva e così chiamato dal latino “Sextantia”, ad indicare la distanza di sei miglia romane da Peltuinum, importante crocevia dei traffici che da Roma giungevano sulla costa adriatica.

Nel medioevo le prime notizie di contrade – comprese nell’attuale territorio comunale di Santo Stefano di Sessanio – di proprietà del monastero di San Vincenzo al Volturno le dobbiamo al Chronicon Vulturnense e risalgono all’inizio del IX secolo. Dopodiché la prima notizia certa dell’esistenza dell’insediamento detto Santo Stefano è dell’anno 1239. L’opera capillare degli ordini monastici determina un aumento delle terre coltivabili e il ripopolamento delle campagne anche ad alte quote, nonché la nascita e il consolidamento di borghi fortificati, tanto più sicuri quanto più in posizione elevata.

Dal XIII secolo Santo Stefano fu compreso nel distretto feudale della baronia di Carapelle – che includeva anche Carapelle Calvisio, Castelvecchio Calvisio, Calascio e Rocca Calascio – e seguì le vicende storiche della baronia fino al 1806, anno di abolizione della feudalità. Il borgo si è sviluppato a partire dal XIV secolo attorno all’antico presidio fortificato della torre Medicea che si presume esistesse sin dall’epoca normanna, isolata sopra un cocuzzolo, e comunicante con la torre di Rocca Calascio, quella di Castel del Monte e di Castelvecchio Calvisio.

Nel 1474, sotto gli Aragonesi, l’abolizione della tassa sugli animali e il riordino dei pascoli di Puglia consentirono un forte sviluppo della pastorizia e della transumanza al punto che in quell’anno Santo Stefano, Calascio, Rocca Calascio e Carapelle hanno – nella dogana di Puglia – ben 94.070 pecore. La torre di avvistamento serviva per controllare i traffici sul tratturo per Foggia, oppure per mettere in allarme la popolazione durante le invasioni nemiche del territorio.

Costanza, ereditaria della famiglia Piccolomini, cedette la Baronia di Carapelle a Francesco I de’ Medici, granduca di Toscana, nel 1579. Queste terre apparterranno così ai Medici fino al 1743. In questo periodo (164 anni) Santo Stefano raggiunge il massimo splendore come base operativa della Signoria di Firenze per il fiorente commercio della lana “carfagna”, qui prodotta e poi lavorata in Toscana e venduta in tutta Europa. Quando Costanza vendette la Baronia il paese, già in via di sviluppo, fu ornato dall’inconfondibile stile rinascimentale fiorentino, di cui la torre principale è l’elemento principe.

Nel XIX secolo con l’Unità d’Italia e la privatizzazione delle terre del Tavoliere delle Puglie ha termine l’attività millenaria della transumanza e inizia un processo di decadenza del borgo che vede fortemente ridotta la popolazione a causa del fenomeno dell’emigrazione. Attualmente però l’antico borgo sta avendo una rinascita grazie al turismo. Infatti nel 1994 è arrivato in paese un giovane imprenditore, Daniele Kihlgren, milanese di origini svedesi, che ha acquistato gran parte del borgo per realizzarci un albergo diffuso ed ha attirato, grazie al progetto di recupero conservativo del paesaggio, delle tradizioni e degli immobili, l’interesse della stampa nazionale ed internazionale. Ciò ha richiamato nuovi investitori, facendo sviluppare in modo considerevole tutte le attività economiche della zona.

Il 6 aprile 2009 il paese è stato colpito dal terremoto che ha abbattuto la Torre Medicea, simbolo del borgo, e alcune abitazioni, danneggiandone molte altre. Il restauro della torre è stato ultimato a ottobre 2021 a seguito di un intervento durato tre anni e costato circa un milione di euro. Il borgo medievale ha visto nel tempo molti lavori di restauro che hanno riportato il paese in una condizione antecedente al sisma, apparendo così perfettamente conservato: ha la caratteristica del borgo a nido d’aquila che si avvolge con le case attaccate l’una all’altra e addossate all’altura della torre centrale.

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